La discesa dei Francesi in Italia dopo la Rivoluzione francese e la presa del potere da parte di Napoleone diede il via a reclutamenti nell’esercito borbonico. Tra dicembre 1798 e gennaio 1799 furono fatti preparativi per un eventuale attacco nemico. Si diffuse la voce che un tale Domenico Topputi, aiutato da padri benedettini, che avevano dimora nel convento di Santa Maria dei Miracoli, avesse piantato in piazza Catuma un albero, a simboleggiare la libertà. Giunsero aiuti da Trani contro i «rivoluzionari», che favoreggiavano per i Francesi, quindi molti presunti «giacobini» furono arrestati e trasferiti al castello di Trani. Giungeva intanto notizia che l’armata reale stava arrivando da Bari, ma anche che l’esercito francese, a sua volta, saccheggiava san Severo, Cerignola e volgeva verso Canosa. Fu inutile per Andria aver punito diversi presunti giacobini, perché il 23 marzo 1799 fu attaccata dall’esercito francese.
Il fuoco del giacobinismo e della rivoluzione si ravvivò nel 1799, giungendo da Napoli ad Andria. Questa ebbe un ruolo significativo nella Rivoluzione Napoletana, tanto che nell’”Albo della rivoluzione napoletana” realizzato per il primo centenario contenente documenti e ritratti, è inserito un medaglione, riservato ad Andria, precisamente “La pianta di Andria”. È ben distinta la cinta delle mura da dove gli Andriesi opposero resistenza ai francesi e ai napoletani, distinte anche le altre porte ed il palazzo ducale. Gli eventi non si riferiscono solo al 23 marzo, visto che alla fine di gennaio ad Andria c’erano stati fermenti finiti male per i giacobini, al punto che prese piede una vera e propria caccia al giacobino. I napoletani stavano avanzando in Puglia e all’arrivo ad Andria l’invito del generale francese Broussier di arrendersi non fu accolto dalla città di Andria. Alla testa dell’esercito rivoluzionario era Ettore Carafa, andriese, figlio di Riccardo, tredicesimo duca di Andria, e di Margherita Pignatelli della famiglia dei duchi di Monteleone. Nato nel 1767, educato a Napoli, entrò a far parte della camera di corte del re Ferdinando IV di Borbone.
Ettore Carafa sposò le idee della rivoluzione francese diffondendo la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”. Diventò un attivista pericoloso per i Borboni tanto da subire un arresto (1795), ma riuscì ad evadere un paio di anni dopo. Mentre riconquistava la libertà dovette fare i conti con la morte di suo padre. Il re Ferdinando IV di Borbone giocò di anticipo privandolo del titolo di duca. A causa delle sue idee rivoluzionarie formò una sua legione e si unì all’esercito francese.
I Francesi mossero con l’esercito fermandosi a Barletta, dove i soldati di Broussier si unirono alla legione di Ettore Carafa. Il parlamento di Andria decise di costituire un corpo armato, composto da un migliaio di andriesi divisi in quattro compagnie comandate da Tommaso Accetta.
Ettore Carafa cercò una mediazione (fallita) perseguendo il suo breve sogno di riconquistare Andria.
Quando gli Andriesi si svegliarono, videro che il generale Broussier, giunto a Barletta una settimana prima e accampatosi nei dintorni della città, durante la notte era ormai arrivato quasi sotto le porte. L’esercito della repubblica Napoletana teneva sotto tiro Porta Castello. Alcune cronache del tempo parlano di seimila uomini tra cui soldati francesi e legionari di Ettore Carafa, muniti anche di cavalleria e artiglieria pesante, come i cannoni.
Dentro la città c’erano gli Andriesi sotto il comando di Tommaso Accetta; posizionato nei pressi di Porta Castello c’era un cannone, ricevuto dai Tranesi.
Broussier aveva diviso l’esercito in due sezioni: la prima comprendeva la legione di Ettore Carafa che avrebbero assaltato Porta Castello; l’altra avrebbe attaccato le altre Porte della città.
Questa battaglia fu anche uno scontro civile tra Andriesi, divisi in Repubblicani e Legittimisti.
Gli Andriesi resistettero, ma ad un certo punto un lato della difesa si indebolì. A questo punto il cannone fu spostato, ma questa scelta risultò sbagliata.
La difesa cedette proprio all’attacco di Ettore Carafa, ponendo fine all’assedio.
La battaglia però non si concluse, la città non si arrese e continuò ad opporre resistenza.
Dopo l’assedio si scatenò il saccheggio, in particolar modo nelle case e nelle chiese, dove vennero uccisi decine di sacerdoti e rubate molte reliquie.
Intervenne prima Ettore Carafa, che pose fine al saccheggio e successivamente Broussier che ordinò la fine delle ostilità.
Dai registri emergono un numero di morti di 687 andriesi, presumibilmente falso in quanto si pensa ce ne siano stati molto di più, anche non Andriesi.
Andria fu conquistata e Ettore Carafa istituì la Municipalità.
Broussier, prima di andar via impose una tassa: gli Andriesi dovevano pagare dodicimila ducati, ma le difficoltà nel recuperare la somma di denaro sono tante e, con la mediazione di Ettore Carafa, riuscì a ottenere che il versamento fosse dimezzato. Ma quando l’ordine verrà restaurato, dopo la fine della rivoluzione emergerà uno scandalo legato al versamento dell’ingente denaro, che a quanto pare è stato trattenuto in parte dai versatori.
Nel 1797 gli Andriesi avevano ottenuto la facoltà, sottraendola al duca, di eleggere direttamente il sindaco e gli ufficiali della città. Appare, dunque, incredibile che la stessa comunità, che aveva lottato per ridurre i poteri del duca Riccardo Carafa, si fosse poi trovata a combattere tragicamente contro il figlio del duca, Ettore. Secondo alcuni storici locali l’avversione degli Andriesi per i giacobini non derivava da una cultura religioso-monarchica, ma da una voglia di seguire un proprio percorso di autoliberazione dal feudalesimo, che sarebbe stato compromesso dalle azioni dei rivoluzionari. Per qualcun altro questa insurrezione era dovuta alla grande influenza che il clero e l’aristocrazia fondiaria esercitavano sulla popolazione analfabeta e molto religiosa, perciò gli sfruttati presero le difese degli sfruttatori. Il sogno della repubblica decadde. I Francesi abbandonarono Barletta e la repubblica diventò solo un ricordo. L’albero della libertà che era stato eretto in piazza Catuma, un palo ornato di nastri tricolori che ricordava l’uguaglianza, la libertà e la fraternità, i valori tanto voluti dai giacobini, fu spiantato e distrutto.
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